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ANTLERS, SPIRITO CORNUTO

Allora ragazzi, qui non ci siamo. Non ci siamo proprio. Eppure abbiamo cominciato la visione con tutta la buona volontà, ce ne avevano parlato bene, c'è un mostro cornuto, poi l'ha prodotto Guillermo Del Toro, cosa può andare storto? Intendiamoci eh, non è un brutto film affatto, e magari molti di voi se lo godono pure senza curarsi dei vari problemi. Ma noi i difetti li vediamo tutti e diciamo che era lecito aspettarsi di più. Antlers (2021) Regia: Scott Cooper Cast: Keri Russell, Jesse Plemons, Jeremy T. Thomas, il Cornuto Scott Cooper è un bravissimo regista, che ha lasciato il segno in vari generi finora, seppur mai apprezzato davvero dal grande pubblico (heh). Dal dramma musicale Crazy Heart, al thriller Il fuoco della vendetta, al gangster biopic Black Mass, al western (rivisitato) Hostiles. Questo è il suo primo approccio all'horror ma conosciamo tutti il suo talento, poi prodotto da uno dei più influenti artisti di horror moderni, insomma c'era molto hyp

LA CASA DI JACK



- Allora, che vediamo stasera?
- Pensavo l'ultimo film di Von Trier.
- Von Trier... Von Trier...
- Quello di Antichrist.
- Ah, con quella che martella il cazzo al cattivo di Spiderman!
- Sì, sì. Qua c'è il baffuto di Tutti pazzi per Mary che ammazza un po' di femmine.
- Ma una serata tranquilla mai, eh?

La casa di Jack (2018)
 Regia: Lars von Trier
Cast: Matt Dillon, Uma Thurman, Riley Keough, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Jeremy Davies, Bruno Ganz (rip)


Il mio rapporto con Lars von Trier comincia molto tempo fa, e lo suddividerò in "incidenti" per seguire l'esempio del film di cui andremo a parlare. Abbiate un po' di pazienza.

INCIDENTE #1

Von Trier, o lo ami o lo odi. E come tutte le cose di questo genere, la prima volta è fondamentale. Beh, fortunatamente la mia prima volta è stata con il meraviglioso "Le onde del destino". Un film tanto bello quanto devastante, di quelli che adori, ma alla fine dici "ok, è un capolavoro, ma non lo voglio riguardare almeno per i prossimi due anni". Un saggio sull'amore, quello incondizionato, che ti provoca una gangbang di emozioni, dalla nausea alla commozione, e spinge a chiederti: cosa siamo disposti a fare per amore? Persino la colonna sonora è favolosa, con pezzi come questo che durante la visione del suddetto film ti colpiscono ancora di più come un proiettile in pieno stomaco.

Ma allora se è tanto bello, perché lo considero un incidente, vi starete chiedendo? Beh al tempo, inizio anni 2000 quando stavo iniziando ad appassionarmi al grande cinema, chiesi ad un mio amico di prestarmi dei DVD (c'erano ancora quelli), ovviamente tarocchi, esplicitamente di film con "Robert De Niro" o "Al Pacino". Si dà il caso che in mezzo a questi DVD c'era un disco a caso con scritto "Le onde del destino". Pensai 'ma che minchia è? Mai sentito'. Quindi guardai. E guardavo, guardavo, aspettando De Niro per tutto il film ma che non arrivò mai. Alla fine, però, quel turbinio di emozioni (e la performance della vita di Emily Watson) mi sopraffasse talmente tanto che dimenticai persino dovesse esserci De Niro. Cioè, non doveva esserci, ma avete capito. Ed è lì che sbocciò il mio amore per Von Trier.
Per completare il quadro storico, andai a scaricarmi le canzoni dell'OST su WinMX (sì, ero un PIRATA).


INCIDENTE #2
Una sera, sempre in quel periodo in cui sapevo ancora poco di cinema, tornai a casa ubriaco fradicio e decisi fosse una buona idea vedere un film. Destino volle ancora una volta che mi capitasse Von Trier, nello specifico Dogville. Innanzitutto diciamo che vedere un film di Von Trier da ubriachi non è una buona idea in generale, ma QUESTO in particolare è tipo un tir che ti travolge in piena faccia. Bellissimo, un'opera d'arte (che ho potuto apprezzare a pieno solo riguardandolo più in là da sobrio), Nicole Kidman in gran spolvero e tutto il resto. Però quella notte è stata un'esperienza quasi allucinogena, con il massacro finale che rappresenta una degna conclusione. Da precisare, ho amato il film anche in quello stato, sebbene abbia capito poco e niente.

Ciao Lars, grazie e a mai più rivederci!

INCIDENTE #3

Dopo la visione de "Le onde del destino", "Dogville" in stato di delirio e "Dancer in the dark" con la mia amata Björk (che pure quello è bello allegro), sentivo che la mia sanità mentale stava per sgretolarsi se avessi visionato altro Von Trier. Tuttavia è come una droga, da cui magari vorresti stare alla larga ma alla fine ci torni sempre. Quindi, quando una notte girai su Rai 3 per "Fuori orario" (la mia conoscenza cinematografica deve tantissimo ad Enrico Ghezzi) e vidi il suo nome, non potei resistere. Mi sparai tutta la serie "The Kingdom - Il regno" in una notte sola (che fu condensata in un film di tipo 5 ore), ben prima dell'avvento di Netflix, e inutile dire che quello fu il colpo definitivo alla mia sanità mentale. Un'esperienza che definirei mistica e terrificante al tempo stesso, un Twin Peaks versione malata e una delle ragioni per cui son stato alla larga dagli ospedali per anni. Inutile dire anche che la amai alla follia, in ogni caso. Con Lars ci casco sempre con tutte le scarpe.


INCIDENTE #4

Dopo quell'esperienza, davvero rimasi alla larga da Von Trier per un bel po' di tempo. E poi eccolo lì, che ti butta un titolone invitante come "Antichrist", e che fai, non corri a vederlo? Io andai al cinema addirittura due volte, prima con la mia ragazza dell'epoca (diciamo che la costrinsi), poi col mio amico/compagno di scuola cinefilo, e ricordo bene che fummo gli unici due ad applaudire. Onestamente, non troverei parole per scriverne una recensione. Ne ho visti di film, ma quello resta ancora oggi uno dei più disturbanti di sempre. La scena della Gainsbourg che martella il cazzo di Dafoe è indimenticabile, alla fine sei lì che vorresti cavarti gli occhi ma al tempo stesso ammirato dall'ennesima, incredibile opera d'arte del nostro danese preferito. Ovviamente il 99% della platea non ha apprezzato, ma soprattutto perché si aspettava un tipico film "horror". Poveri ingenui.


INCIDENTE #5

Fast forward a 10 anni dopo, quando ormai a questo punto ho visto e rivisto tutto di Lars, eccomi consapevolmente di fronte alla visione della casa di Jack. E allora perché è un incidente? Perché dicevano che fosse basata su Jack lo Squartatore, ma questo dello squartatore c'ha poco, a parte essere un serial killer psicopatico. In ogni caso, questo piccolo dettaglio non ha inficiato sulla visione con annesso godimento del suddetto film.


Se all'uscita di "Antichrist" pensavo che Lars ormai facesse film per se stesso e fosse arrivato al massimo livello di egocentrismo e provocazione, non avevo ancora visto nulla. Alla fine, diciamo la verità: "The House that AJ Styles Jack built" è un film che Lars ha girato maggiormente per il suo godimento personale (che, per fortuna, coincide col mio). Una bella sega a due mani. C'è praticamente tutto di lui: le sue visioni, il suo amore per la violenza, la sua ironia, il suo nichilismo, la sua provocazione. Come in passato, troviamo delle risposte dirette ai suoi detrattori, ad esempio provoca quelli che lo tacciano di misoginia ammazzando ancora più donne (come fece Dario Argento quando girò "Tenebre"). D'altronde, Lars è sempre stato un provocatore. Non è per questo che lo adoriamo?


Lars "Mr. Sophistication" von Trier è un pazzo scatenato, ora più che mai. In fondo in fondo, questo film parla di lui: sarà già stato detto e ridetto, ma è decisamente il suo film più autobiografico. Jack È Von Trier (a parte gli omicidi - credo). D'altronde, tra le altre cose, ricordiamo che anche lui ha sofferto per tutta la vita di disturbi ossessivi compulsivi e altre condizioni quali depressione, fobie varie, disturbi d'ansia etc. A ben vedere, questo film potrebbe essere un modo di affrontarle, oppure indirettamente una richiesta di aiuto del regista danese, o un'apologia. Come Jack quando confessa di essere un serial killer. Ma tanto, in entrambi i casi, chi cazzo ci crede/se ne frega? Nessuno. Come quando Riley Keough grida aiuto disperatamente. Alla gente non frega niente di voi, siete da soli.


D'altronde, l'Arte è, o perlomeno dovrebbe essere proprio questo: una forma personale di psicoterapia, un percorso interiore per scoprire di più su se stessi, imparare a capire le proprie emozioni, affrontare i propri demoni. L'arte, quella vera, per definizione è personale ed autobiografica: un artista non crea mai i propri lavori per compiacere il pubblico (tantomeno per guadagnare soldi), ma solo per compiacere se stesso. Non a caso, la maggior parte dei più grandi artisti ha sofferto di gravi malattie mentali, e solo quando l'artista impara qualcosa su se stesso, allora anche il suo pubblico potrà imparare qualcosa riguardo la natura umana (e, si spera, migliorare le proprie vite). 
Eppure, ad ogni film di von Trier arrivano puntualmente i detrattori (o quelli che scappano dalla sala di Cannes) che non riescono a capire perché, perché si ostini a fare ciò che è dato per scontato in QUALSIASI altra forma d'arte, invece di attenersi al linguaggio cinematografico più convenzionale o popolare, che riguardi sia i temi trattati, sia il modo di filmare, eccetera. E puntualmente, il nostro diavolo danese risponde così:


Ad ulteriore prova che questo sia un film su/di/per se stesso abbiamo addirittura un momento di autocitazionismo diretto, giuro che quando son partite le immagini dei suoi stessi film sono morto (dal ridere). Ovviamente, da parte sua, l'effetto ridicolo è voluto. Onestamente, 10 anni fa non potevo immaginare sarebbe arrivato a tanto. 
Eppure, la cosa più ironica di tutto ciò è che il suo film forse più intimo, provocatorio e autoreferenziale, sia al tempo stesso anche il suo film più "convenzionale", almeno per quanto riguarda la trama: chi non è interessato ad un bel film/show/documentario su un serial killer? Soprattutto nel periodo in cui vanno di moda serie TV come "Manhunt", "Mindhunter" (grandi serie) etc; tra l'altro, Jack possiede le caratteristiche tipiche di tutti quei serial killer messi insieme (un vero e proprio MAPPAZZONE vivente di psicopatici). Cerca anche la FAMA (come suggerisce la bellissima e azzeccata canzone di Bowie presente nel film - e in questo blog) annunciandosi ai giornali.


D'altronde, Jack è semplicemente uno che vorrebbe fare l'architetto ma è costretto a diventare ingegnere, quindi alla fine sbrocca. Un visionario, che vorrebbe creare, ma è costretto ad essere un mero "esecutore". Un reietto, totalmente solo, insoddisfatto dal proprio lavoro, senza amici, famiglia o relazioni amorose, ma soprattutto che soffre di seri OCD, ansie, fobie e depressione. Quanti di noi si possono, almeno in parte, identificare con il nostro Jack/Von Trier? Diciamo la verità, questa società farebbe sbroccare chiunque. Da questo punto di vista, Jack potrebbe essere quasi considerato un anti-eroe. Nonostante il mondo 'normale' l'abbia ripudiato, in fondo ancora spera di essere amato e accettato come eguale, per cui tenta di affrontare la cosa rivolgendosi all'arte.
Prima tenta ripetutamente di costruire una casa, fallendo, poi vittimizza tutti i simboli di quel mondo 'normale', politicamente corretto etc. (palese anche il riferimento al #MeToo - "Le donne sono sempre vittime, gli uomini sempre criminali"), partendo dalla 'stronza' borghese di turno Uma Thurman che l'aveva verbalmente emasculato. Da lì in poi, non può più fermarsi e continua con la sua 'arte' (per Jack/von Trier, "un cric in faccia a una signora innegabilmente insopportabile" è arte quanto un quadro di Juan Gris).
 

Come Jack, Von Trier oggigiorno non è ben visto da nessuna parte. A questo proposito, dunque, parliamo finalmente di Matt Dillon. La performance del baffuto di Tutti pazzi per Mary è a dir poco straordinaria. Come minimo meritava una nomination agli Oscar, e il fatto che sia stato snobbato in questo modo è a dir poco criminale, quasi quanto non aver candidato Marcello Fonte per "Dogman" o Kyle MacLachlan agli Emmy per la terza stagione di "Twin Peaks". Ormai abbiamo capito che qualsiasi cosa correlata a von Trier sia bandita da qualsivoglia premio cinematografico, il che dimostra l'enorme ipocrisia, appunto, di questa società. Ma questa è un'altra storia. Tornando al nostro Jack, Dillon riesce a intimorirti e farti ridere al tempo stesso, come riusciva a fare solo Christian Bale in "American Psycho" (che, tra l'altro, è l'unico tipo di ruolo che può fare SOPRAVVALUTATO BALE - ho parlato) e Joe Pesci in "Quei bravi ragazzi" (BUFFO COME?!) 



E proprio quando pensi che questo sia un film abbastanza nei suoi standard (pure la suddivisione in capitoli e intermezzi musicali di alto livello), riesce ancora a sorprendere, ancora una volta, pure quelli che hanno visto tutto di lui come me. In rapida successione, abbiamo: Jack che tenta di trapassare diverse teste con un solo proiettile (mi fa venire in mente "The Human Centipede", un film su uno scienziato pazzo che mette insieme esseri umani collegando le teste ai culi), una casa fatta di cadaveri, e un grandioso finale mistico/dantesco che è l'ultima cosa che mi sarei aspettato. Verge/Virgilio è un'esca (più o meno come il personaggio di Seligman in "Nymphomaniac") che rappresenta i sostenitori del 'politicamente corretto' e della convenzionalità (tra cui i detrattori di von Trier, ovviamente), ma anche la coscienza stessa di Lars. Ebbene sì, è come se von Trier attraverso il film discuta con se stesso. Ad esempio, quando Jack tenta di giustificare la sua compulsione con l'esempio dell'ombra, Verge gli fa notare che la cosa si potrebbe applicare a tutte le dipendenze, come l'alcolismo, per cui non è una scusa. Questo è von Trier che discute con se stesso, prima giustificando le sue compulsioni distruttive e poi rendendosi conto che si sta arrampicando sugli specchi. Come quando facciamo una cazzata e ci raccontiamo tante palle per sentirci meglio, che magari hanno pure senso ma in fondo in fondo sappiamo di aver fatto una cazzata. Ecco.
Tuttavia, alla fine, Verge ammette che Jack gli ha mostrato qualcosa che non conosceva e gli consiglia di terminare finalmente la sua casa prima di lasciare questo mondo. E ci riesce, con i cadaveri che ha accumulato fino a quel momento (d'altronde secondo Jack i materiali 'hanno vita propria'), lasciando il mondo in pace dopo aver realizzato la sua personale e 'non convenzionale' opera d'arte (ciò rappresenta un percorso di psicoterapia parallelo a quello di von Trier, la cui opera finale è il film stesso). 
L'immagine di Jack che piange ricordando la sua infanzia, conscio che non raggiungerà mai il paradiso, è la più toccante. Lui che aveva dovuto fingere di provare emozioni durante tutta la sua vita, ne prova finalmente una (l'unica) reale, ovvero autocommiserazione, forse mista a una sorta di rimorso. E il momento in cui si lascia cadere è non solo l'apologia ultima (di von Trier, pure), ma anche a suo modo un lieto fine, perché dimostra che alla fine si può trionfare sui propri problemi e redimersi anche attraverso l'arte.
Insomma, in parole povere, Lars me l'ha fatta di nuovo.

EPILOGO: KATABASIS MAPPAZZONE (a rileggerlo mi son rotto le palle da solo)

"La casa di Jack" non solo è decisamente il miglior film del 2018, ma una delle migliori opere cinematografiche di sempre... proprio perché è così anti-cinematografico.
Von Trier non girerà mai un film in maniera convenzionale, ha ben altro di cui preoccuparsi che badare a inquadrature/posizioni/sequenze predeterminate, quelle 'piene di significati' che possono essere capite istantaneamente dai 'Mr. Simple' di tutto il mondo. Eppure, sarebbe stato così facile girare un tipo di film che sarà sempre popolare (come ho già detto, la gente avrà sempre il macabro interesse di scoprire cosa c'è nella mente dei serial killer) in modo "convenzionale", hollywoodiano, etc. E sarebbe stato pure osannato dalla critica. Invece, von Trier compie un'impresa che prima di vedere questo film avrei considerato pressoché impossibile: prende un tema del genere e lo presenta perfettamente in una maniera che, come ho detto prima, sarebbe considerata prassi in ogni altra forma d'arte (meno che il cinema, dove viene ancora criticata o vista come 'radicale'). Presenta allo spettatore situazioni emotive adulte complesse, confuse e sconcertanti che sono impossibili da comprendere facilmente. D'altronde questo non è un film 'morale', non vuole comunicare un messaggio, e teoricamente non ha nulla a che fare con la violenza, come "Nymphomaniac" aveva poco a che fare con il sesso. È semplicemente il suo modo di interagire con se stesso, cioè la più pura forma d'Arte.
Ricordiamo che Lars è il precursore del movimento Dogma 95, e sin dal primo film prodotto da questo movimento ("Festen" di Thomas Vinterberg) si può notare come, appunto, il loro credo fosse intendere il cinema come arte e ignorare quello dei 'grandi uomini' fatto di effetti speciali e poco interessato alle emozioni.
In questo senso mi vengono in mente film come "Melancholie der Engel" di Marian Dora (che a dire il vero è abbastanza disagiato), "Madam Yankelova", o andando indietro nel tempo, "Black God, White Devil" di Glauber Rocha, o i film TV di Ram Loevy.
Moltissimi cosidetti critici, o giornalisti, ancora non hanno idea di come approcciarsi a lavori 'anti-cinematografici' come questo, se non analizzandoli con la stessa lente usata per i thriller a effetto hollywoodiani. Invece questo film non è altro che uno sguardo tragico e trascendentale, simile a quello dei film nominati sopra, all'interno di un uomo (Jack/Lars von Trier) che tenta di riacquisire la sua umanità e ricongiugersi con il mondo e con lo spirito umano. E lo fa attraverso un atto di amore (non nel senso romantico/sessuale della parola), tentando di affrontare l'abbandono da parte del mondo attraverso la scoperta di sé e l'autodistruzione. Volendo usare una metafora Matrixiana, questo film riguarda la 'pillola rossa'. 
Rosso come il colore predominante in tutte le scene degli omicidi, perché alla fine il nostro Lars è sempre stato uno attento ai dettagli.

VOTO FINALE: *****

Nota soggettiva dell'autore: FOMENTO TOTALE. VAI JACK!




"Alcuni affermano che le atrocità che commettiamo nella nostra immaginazione sono desideri nascosti che non possiamo realizzare nella nostra società civilizzata, quindi li esprimiamo attraverso la nostra arte. Non sono d’accordo. Io credo che l’inferno e il paradiso siano la stessa cosa. L’anima appartiene al paradiso e il corpo all’inferno" (Jack/Von Trier)

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